La supervisione psicoanalitica si rivolge agli operatori delle relazioni d’aiuto come medici, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, educatori, infermieri, osteopati, cioè tutte quelle persone che con una investitura professionale si adoperano per il benessere altrui.
Perché la supervisione?
Quando si lavora nel campo delle relazioni d’aiuto a contatto con il malessere e la patologia fisica e psichica spesso ci si sente insicuri e confusi: operatore e paziente/utente entrano in collusioni dovute a bisogni, interessi, conflitti affettivi che a volte fanno debordare dai propri confini, fanno perdere di vista il proprio ruolo e la propria funzione.
I Terapeuti coinvolti nelle difficoltà, nei sintomi, nella sofferenza dei pazienti, possono sperimentare sentimenti di impotenza e di inutilità e questo non permette di svolgere adeguatamente la funzione terapeutica utilizzando appieno le competenze del proprio Ruolo. La percezione è di non essere di “aiuto” alla persona.
Il fondamento teorico alla base dell’intervento qui proposto fa riferimento ad un particolare concetto della cura: il terapeuta cura in quanto “cura se stesso”. Solo curando se stesso il terapeuta cura l’altro. Se concepiamo la funzione terapeutica fondata sulla capacità di rispondere in modo “sano” alle aspettative, ai desideri e ai bisogni che gli utenti esprimono in forma “malata” capiamo il senso di questa affermazione.
La supervisione aiuta l’operatore a capire meglio come il proprio Sè “funziona” a livello emotivo ed affettivo rendendolo così più capace di entrare in una relazione sana con l’utente che a lui si rivolge con una “domanda di aiuto”.
Le situazioni di conflitto che gli operatori incontrano nel loro incedere professionale non è visto solo come un disturbo da eliminare attraverso risposte precostituite, ma come una preziosa opportunità al fine di capire meglio cosa sta accadendo in quella irripetibile relazione terapeutica. Spesso questa comprensione genera nuova conoscenza.